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Relazione sulla contrattazione  (sintesi)


Premessa
Per tentare una iniziale riflessione sulla contrattazione, che mi auguro possa essere sempre più definita organicamente dal contributo, dalle conoscenze dei compagni e soprattutto dalla buona riuscita di questo nostro tentativo di coordinamento, comincerei con una brevissima e sintetica storia delle precedenti stagioni politiche sindacali.
La stagione politico-sindacale a cavallo fra i primi anni '60 ed i successivi anni '70 traeva la sua maggiore forza dall'aver conferito al salario operaio ed alla necessità di un reddito una valenza sostanzialmente slegata dal ciclo produttivo, legata  invece ai  bisogni crescenti ed alla prospettiva da parte delle masse popolari e giovanili di migliori condizioni di vita.  E’ alla fine di questo periodo che i sindacati sollevano, in sede contrattuale, il problema delle gabbie salariali in una vertenza condotta unitariamente.
Nel 1954  l’Italia è ancora divisa in 14 zone e livelli retributivi. Nel 1961 poi le zone vengono dimezzate e viene prevista una diminuzione dello scarto tra la prima e l’ultima dal 29% al 20%.
Le “gabbie salariali” vengono definitivamente abolite nel 1969, dopo anni di lotte operaie, durante le quali Cgil, Cisl e Uil avevano lanciato una vertenza nazionale sostenuta da scioperi e manifestazioni: il 21 dicembre 1968 fu l’Intersind (l’associazione padronale che rappresentava le aziende a partecipazione statale come Iri ed Efim) ad accettare l’eliminazione delle gabbie, sia pure in modo graduale entro il 1971, poi toccherà a  Confindustria accettare il loro superamento.
I minimi salariali di categoria saranno uguali in tutta Italia a partire dal 1° luglio 1972.
Il 25 gennaio 1975 con un accordo interconfederale inizia la progressiva unificazione del “punto” di contingenza al livello più alto.
Questo ciclo di lotte aveva fatto pendere  la bilancia dei rapporti di forza a favore delle classi meno abbienti e dei suoi alleati.   Per incrinare questa unità e solidarietà di classe il capitale doveva riacquistare potere sui salari, diventati oramai una “ variabile indipendente ” dal ciclo produttivo.
Vero “cavallo di Troia”  teso a scardinare il livello di autonomia e di radicalità raggiunto dal movimento operaio fu la scelta da parte delle stesse organizzazioni sindacali di farsi carico dell'obiettivo della tenuta complessiva dell'economia nazionale, sacrificando a questo gli interessi dei lavoratori,  facendosi paladini del contenimento salariale e di una  politica collaborazionista con l’avversario di classe che molto sinteticamente, ma efficacemente, fu allora definita dalla sinistra di classe ed extraparlamentare: “la politica dei sacrifici”.
La scelta strategica sindacale, nota con il nome di politica dell’EUR (1978) codificò la fine del salario conte “variabile indipendente” dal ciclo economico e definì una strategia di moderazione salariale a fronte di un improbabile scambio con governo e padronato di nuovi posti di lavoro.
Agli inizi degli anni '80, il sindacato vive già una forte fase critica, strettamente legata alla crisi occupazionale che soprattutto nei settori privati si sta già determinando.  La crisi della siderurgia italiana si era manifestata già a metà anni 70 e le possibilità di sbocchi occupazionali per le giovani generazioni sono in quegli anni sostanzialmente nei settori statali, dell’istruzione e degli enti locali.  
Le difficoltà del settore automobilistico, provocano la crisi della FIAT-Auto che manifesta l'intenzione di licenziare 14.000 operai e di metterne 12.000 in cassa integrazione.  
Nonostante le lotte serrate dei lavoratori e del Sindacato, nell'ottobre del 1980, dopo un mese di blocco totale della produzione, 22.000 operai vengono messi in cassa integrazione e non verranno più reintegrati in fabbrica.
Tutti gli anni 80/90 sono stati segnati dal tentativo padronale e governativo, con il convinto ausilio e protagonismo delle organizzazioni riformiste e sindacali,  di rimettere sotto il proprio controllo la dinamica salariale e ridurre i meccanismi automatici di tutela del salario.
E’ proprio a partire dai primi anni '80, all'interno del movimento operaio e delle nuove generazioni cresciute e formatesi all'interno di un “humus” politico-culturale improntato alla solidarietà e alla eguaglianza, che si introduce, per la costruzione delle piattaforme rivendicative legate all'aspetto salariale, il concetto della professionalità, concretizzatasi come una vera e propria campagna promozionale dei valori della borghesia.
La necessità di salario, mortificata dalla scelta di moderazione retributiva, il grimaldello della professionalità come unica possibile strada per rivendicare maggiori quote di salario, determinarono in una prima fase forti rivendicazioni corporative fra le categorie che mantenevano ancora una capacità di contrattazione.
Fu il caso di settori lavorativi quali la Sanità e dei Trasporti che in quegli anni ottennero notevoli passi in avanti sul terreno salariale e normativo.
Tali logiche corporative si insinuarono nelle stesse categorie dove la collocazione strategica di gruppi di lavoratori permetteva maggiori capacità contrattuali rispetto all'intera categoria.
Ben presto anche questi  “fortini ”  vennero spazzati via nella logica inesorabile del conflitto di classe che non permette ad una categoria,  men che mai a spezzoni di questa, mantenere condizioni salariali e normative  più favorevoli di  altri se queste non vengono allargate e fatte proprie dall'intera classe lavoratrice.  Il caso delle Compagnie Portuali, fu paradigmatico di tale situazione. (1989–Decreto Prandini– Liberalizzazione dei Porti)   
Tutti i meccanismi automatici di rivalutazione salariale furono messi in discussione a partire dalla Scala Mobile, anche se il suo reale epilogo sarà nel 1992,  fino agli scatti di anzianità trasformati in cifra fissa e non più erogati in percentuale alla paga base.
Della politica sindacale premiante la professionalità è rimasta carta straccia negli archivi delle piattaforme rivendicative sindacali degli anni ’80.
La realtà fu quella di aver riconsegnato una larghissima e sempre più discrezionalità padronale su quote di salario e di reddito: cifre che in percentuale vanno dal 15 al 30% su salari e redditi operai o impiegatizi.
Dai premi di produttività legati a parametri individuali e di presenza, ai cosiddetti progetti finalizzati nei settori pubblici ed enti locali, distribuiti discrezionalmente dai dirigenti, fino a quote legate direttamente agli utili dell'azienda e quindi all'andamento dei mercati.  
Questo  il dato sempre più diffuso nelle categorie di lavoratori dipendenti.
L'attacco al salario è stato quindi propedeutico alla situazione di frantumazione del movimento operaio.
In questa cornice viene posto il problema del costo del lavoro, sempre con il beneplacito delle organizzazioni sindacali.
La trattativa dura quasi quattro anni,  a partire dal giugno del 1989. Le trattative vanno avanti fino a quando il 3 luglio 93 viene raggiunto l'accordo e confermato il giorno 22 dopo la consultazione dei lavoratori.


Dall’accordo del 93 al successivo Accordo del 22 gennaio2009
La crisi di profittabilità del capitale continua con scostamenti e congiunture non significative per tutta la metà degli anni ‘90 fino alla metà degli anni 2000 con crescite di PIL intorno al 1,5 -3 % che non garantiscono aumenti consistenti di forza lavoro.
L'aumento ininterrotto dei livelli di disoccupazione giovanile , la forte riduzione del potere di acquisto dei salari in particolare di  questo ’ultimo decennio e sopratutto la crescita di quote di salario accessorio hanno ricreato la classica situazione di debolezza della forza lavoro occupata, ricattata da un “ esercito industriale di riserva ”  rappresentato dalle masse giovanili e femminili nella maggior parta inoccupati o precari ed da settori sempre più consistenti di migranti provenienti dall’Est europeo e dall’Africa.
La politica cosiddetta di concertazione inagurata come abbiamo visto dall'accordo del luglio 1993 fra le parti sociali e il Governo, proseguita formalmente fino ad oggi, ha fortemente eroso il potere d'acquisto dei salari e aumentato i profitti industriali. Di contrappeso in questi stessi anni l’'orario di fatto, quindi lo sfruttamento, è aumentato di molto.
I pochi nuovi posti creati con il lavoro flessibile, che poi vuol dire precario, i quali non si aggiungono alla forza lavoro stabile, ma la sostituiscono senza nessun effetto significativo sui tassi di disoccupazione,  hanno funzionato da “dumping sociale” a ribasso per i lavoratori che ancora lavorano a tempo indeterminato. Si arriva così ai primi anni del 2000 dove i segni di una grande e scioccante crisi economia internazionale sono già evidenti. L’abnorme sviluppo dei prodotti finanziari e al contempo la riduzione dell’utilizzo degli impianti industriali testimoniano la crisi di sovrapproduzione classica.
Saranno poi la crisi dei cosiddetti “subprime” dell’agosto del  2007, ma soprattutto il fallimento della Banca Lehman Brother del settembre 2008 a testimoniare la crisi economica mondiale in cui a distanza di due anni e mezzo ancora oggi tutto il mondo è immerso.
E’ in questa cornice di lungo logoramento e di frantumazione del tessuto organizzativo e solidaristico del movimento operaio che la contrattazione nel 2009 subisce un nuovo e forse per ora imponderabile mutamento con l’accordo separato del 22 gennaio del 2009.
A questo sono seguiti una serie di accordi in deroga ai contratti nazionali, per altro sottoscritti anche dalla stessa CGIL, ma soprattutto è  il caso FIAT che rappresenta un ulteriore passo in avanti rispetto allo stesso contenuto dell’accordo del 22 Gennaio, in quanto istituisce e definisce una ulteriore indicazione contrattuale fatta di accordi aziendali ed individuali.
Infatti fin dall'ingresso della fase più acuta della crisi non si è persa occasione per diffondere ed amplificare messaggi del tipo le vecchie regole non reggono più. Così, con il terreno spianato grazie a questa campagna tutta ideologica e particolarmente pervasiva, non ci si è fatto alcuno scrupolo a sperimentare nel Febbraio 2010 i primi accordi in deroga al contratto nazionale speculando su situazioni di grave emergenza occupazionale.
E' quello che è accaduto nel settore del credito con il contratto di Banca Intesa per le nuove assunzioni, nelle zone di L'Aquila, Lecce e Potenza firmato con quasi un anno di anticipo rispetto all'exploit di Marchionne che prevedeva un salario più basso per i nuovi assunti e soprattutto il successivo contratto sempre nel settore bancario all’Unicredit  che prevedeva l’assunzione dei figli dei dipendenti.


Alcune ulteriori riflessioni
Preliminare all’analisi della diffusione della contrattazione, soprattutto quella cosiddetta di  II° livello, che nella nuova vulgata ideologica padronale e governativa,  dovrebbe diventare la forma più idonea per rispondere alla “globalizzazione”  è la conoscenza di alcuni dati essenziali sulla struttura delle imprese del nostro paese.
La distribuzione dei dipendenti in Italia vede il maggiore addensamento sulle piccole imprese.
Nella struttura delle imprese italiane, il 94,9% è collocato nella fascia da 1 a 9 addetti; nel rapporto tra dipendenti e indipendenti pesano le imprese con un solo addetto (che coincide con il titolare) e si tratta di 2.526.438 unità ; tra queste ci sono tutte le partite Iva che in larga parte nascondono, in realtà, del lavoro subordinato. Se si escludono le aziende con un solo addetto resta comunque l’88% delle aziende sotto i 10 dipendenti.
Come abbiamo visto a parte la parentesi degli ultimi anni ‘60 ed i primi anni ‘70 nel periodo precedente il 1993, in ragione delle  condizioni economiche, erano stati spesso posti vincoli alla contrattazione aziendale. Da un’indagine condotta sulla diffusione della contrattazione aziendale per classi dimensionali negli anni 1995 – 1996, sono emersi valori elevati, sia come dipendenti che per imprese coinvolte, ma solo al di sopra della dimensione dei 50 dipendenti.
Infatti la maggioranza delle imprese ha fatto accordi a partire dal 1994, dopo cioè l'accordo del Luglio 1993 (88 %  calcolando i valori assoluti).
La propensione alla negoziazione decresce però  al ridursi delle dimensioni aziendali ed è condizionato anche dal dato geografico.  Si stima che nel 2001/02 circa la metà dei lavoratori privati nelle imprese con almeno 20 addetti e la quasi totalità dei dipendenti delle imprese di dimensione inferiore non fossero coperti da alcun contratto aziendale; la diffusione come si è già detto risultava particolarmente scarsa nel Mezzogiorno.
Si conferma, inoltre, lo stretto rapporto tra diffusione della contrattazione aziendale e dato dimensionale. Si riscontra, infatti la maggiore presenza di accordi al crescere della classe di addetti.
Nella classe più piccola (10-19) la percentuale è del 17,9%.(dato Cnel )
Nel periodo 1998/2006. la tendenza della contrattazione di secondo livello è al massimo del declino.


Conclusioni parziali
A fronte di questi seppur parzialissimi dati penso che, oltre a volgere un analisi ancora più precisa anche in singoli settori lavorativi, magari fra i più significativi, occorra con forza indicare nella difesa della contrattazione nazionale l’elemento di arroccamento della prossima strategia sindacale.
Nessuna sciocca antinomia fra centralizzazione o autonomia delle lotte rivendicative.
E’ evidente che in ultima analisi sono i rapporti di forza a determinare condizioni migliori o peggiori della stessa contrattazione.
Per cui se ipoteticamente in una situazione particolare aziendale i rapporti di forza sono favorevoli è chiaro che l’opportunità di siglare accordi migliorativi va sfruttata.
Occorre avere però ben chiaro quello che nella lotta di classe è un dato inconfutabile e che già veniva affermato. Se queste condizioni di miglior trattamento non vengono o non venissero nel tempo generalizzate sono destinate non solo a retrocedere ma a determinare e sviluppare una ulteriore frantumazione e scollatura del terreno solidale della classe.
Quindi in questa fase visto il giudizio, credo unanime, che tutti noi abbiamo della fase politica e sociale , cioè quello di essere in un periodo storico di forte arretramento e di debolezza dei rapporti di forza complessivi del movimento operaio, occorre ribadire con forza che nessuna deroga o contratto separato può rappresentare un punto avanzato e di sviluppo per nuove battaglie solidali e di avanzamento delle condizioni della classi lavoratrici.
All’interno di questa battaglia sindacale per il mantenimento e consolidamento dei livelli nazionali di contrattazione occorre tendere all’accorpamento di settori lavorativi, riducendo e contrastando le finte cessioni di ramo d’azienda,così come le cosiddette esternalizzazioni, che vanno dai settori dei servizi all’impresa (lavoratori delle mense o della logistica, dell’indotto) fino agli uffici studi, oltre che per avere una  maggiore massa contrattuale per dare reale significato alla battaglia egualitaria e di emancipazione delle masse lavoratrici tutte, invertendo e riducendo la tendenza di richieste di quote salariali accessorie e non pensionabili.


Cristiano Valente     -    2/4/2011 Livorno